“Mia zia, scomparsa nel 2015, si chiamava Nella Baroncini e insieme a tutta la famiglia fu arrestata e deportata nei campi di concentramento nazisti in Germania, perché antifascisti.Dai campi tornarono solo Nella e la sorella Lina; la madre Teresa e la sorella Iole persero la vita a Ravensbruck, il padre Adelchi morì al castello di Hartheim, non distante dal lager di Mauthausen.”

Inizia così il ricordo commosso di Giorgia, pronipote di Nella. Il ritorno alla vita di Nella Baroncini e di sua sorella Lina comincia quando, il 30 aprile del 1945, i russi liberano il campo di Ravensbruck, dove la madre e una sorella sono morte di stenti e di malattia. Prima di quel momento altri due pezzi di vita: il primo in una famiglia di origini contadine che aveva respinto l’ idea e la pratica del regime fascista, impegnandosi attivamente:.

“Anche se i contatti con il mondo della resistenza li aveva il padre, furono le figlie ad attivarsi, a rendersi utili con i mezzi che avevano. Vennero dunque impiegate nella produzione dei testi per la propaganda antifascista, battendo a macchina i manifesti e gli articoli per L’unità, La lotta, Noi donne, e nella distribuzione clandestina di materiale divulgativo, fino alla denuncia di un collega che si professava antifascista” continua Giorgia.

Poi il lager, l’orrore. Ancora Giorgia: ”Ravensbruck era un campo di concentramento femminile finalizzato alla rieducazione delle deportate politiche; in realtà era un campo di lavoro e sterminio. Vi morirono, si stima, circa 92.000 donne “non conformi”, giudicate inutili dal regime: in prevalenza oppositrici politiche, ma anche lesbiche, rom, prostitute, disabili, donne con problemi psichici e sociali, ebree e “misto-ebree”. Morivano per fatica e stenti, e verso la fine della guerra, o quando non più abili al lavoro, vennero sterminate.”

Una nuova vita

La nuova vita comprende la fatica di ritrovare quella normalità che, dopo l’orrore, sembra impossibile: “Ancora adesso mi sembra che la mia vita si sia fermata là” disse Nella in una testimonianza. Ma comprende anche l’impegno della memoria, perché l’orrore non torni a strappare le persone dalle loro case. Giorgia prosegue: “Ecco perché Nella si adopera per fondare la sezione bolognese dell’Aned, e per tutta la vita, finché la salute glielo consente, si dedica all’Associazione. Non ha mai amato essere al centro dell’attenzione e, anche quando veniva chiamata a raccontare la sua vicenda, lo faceva con pudore, perché temeva di essere fraintesa, di non essere efficace. Ma continuerà a farlo per tutta la vita, nelle scuole con i ragazzi, nei viaggi organizzati dall’Aned nei campi nazisti e nelle interviste”.

In loro onore Giorgia si è associata e collabora con l’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati), custode della memoria dei deportati, anche quando i testimoni diretti non ci saranno più.