Staffetta partigiana, politica, ministra: tante sfaccettature, tutte impegnative, per una donna unica. Una donna onesta, nel senso più alto del termine, in tutti i ruoli rivestiti.

Questo è stata Tina Anselmi, da Castelfranco dove nacque e, a soli 17 anni, scelse di entrare nella Resistenza, alla Roma delle alte sfere politico-istituzionali, dove divenne ministra nel 1976, la prima nella storia del nostro Paese, poi presidente della commissione P2. Della sua scelta di diventare staffetta, nome di battaglia Gabriella, parla lei stessa nella sua autobiografia, “Storia di una passione politica” (Sperling & Kupfer), curata da Anna Vinci:

«Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità…».

Militante dell’Azione cattolica, amica e discepola di Aldo Moro, deputata nel 1968, ministra nel 1976, prima del Lavoro e poi della Sanità.
Avrebbe potuto diventare presidente della Camera o del Senato, invece accettò, su richiesta di Nilde Iotti, di guidare la commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2. Il che le procurò, per il suo rigore nella ricerca di una verità difficile da raggiungere per i tanti depistaggi, innumerevoli nemici.

Prova ne sia che, nel 2004, presidente del consiglio Silvio Berlusconi, il dizionario biografico delle donne italiane, commissionato dal ministro delle Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo, a Pialuisa Bianco, alla voce Anselmi Tina recita: «Moralismo giacobino, istinto punitivo… E ancora: «improbabile guerriera. Furbizia contadina».

Tina Vagante

Fu ostacolata in tutti i modi, fu minacciata con tritolo sotto casa, pedinata per cercare elementi contro di lei per infamarla. Fu lasciata sola dal suo partito, ma gli altri partiti non furono da meno. Quando nel 1984 la commissione fu chiusa, finì di fatto anche la carriera politica di quella che, dentro la DC, era soprannominata la “Tina vagante”.

Sul Corriere della Sera, il 29 luglio 1984, intervistata da Viviana Kasam, sulla condizione della donna dice: «…una donna che riesce, riesce per tutte le altre. Me ne sono accorta dalle lettere, dalle adesioni che ho avuto come presidente della commissione P2. Le donne hanno bisogno di trovare in un’altra donna la dimostrazione che è loro possibile essere e fare. L’esempio le aiuta ad acquistare una maggior fiducia in se stesse». E ancora: «… per la legge sulla violenza sessuale, su cui le donne dei vari partiti partivano da posizioni molto diverse, avremmo trovato un compromesso se non fosse stato per gli uomini che sono intervenuti. Credo anche che questa solidarietà sia l’unica carta vincente per allargare la presenza femminile in politica. Chi arriva ha anche una funzione promozionale, deve esserne consapevole e fare da treno per le altre. Altrimenti, non serve a nulla. La singola che arriva c’è sempre stata, è l’eccezione che conferma la regola. Ora è importante arrivare in molte».

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