Dal 1 marzo 2023, l’INPS ha comunicato che attribuirà la perequazione a tutte le pensioni che superano 4 volte il minimo, cioè da 2.100 euro lordi in su, compresi gli arretrati di gennaio e febbraio (art.1, comma 309 della legge di bilancio 2023).

A questo proposito, dobbiamo ricordare che il Governo ha “fatto cassa” tagliando circa 3,5 miliardi di euro a oltre 3.400.000 pensionati, che riceveranno aumenti molti inferiori al 7,3% (che è già più basso dell’inflazione reale all’11%): infatti, solo per fare un esempio, chi percepisce una pensione lorda tra i 2.626,90 fino a 3.152,28 euro avrà un incremento di solo il 3,9%. Non stiamo parlando di ricchi, e soprattutto ci riferiamo a persone che hanno lavorato oltre 40 anni, versando i relativi contributi, come prevede la legge.

Lo SPI ha manifestato, in Piazza Santi Apostoli a Roma, il 16 dicembre scorso contro questa decisione del Governo, contestando, in modo particolare, le nuove modalità di calcolo degli aumenti, non più per scaglioni di reddito, ma per cifra unitaria. In questo modo, nel 2024, il “taglio” degli aumenti pensionistici sarà di oltre 6 miliardi di euro che, come gli attuali 3,5, non saranno mai più recuperati e, se non ci saranno modifiche, la riduzione sarà “incrementale”, e non una tantum. Tutto questo è inaccettabile per lo SPI, che perciò proseguirà con determinazione la battaglia per cambiare la norma. Chiediamo ai nostri iscritti di partecipare alle iniziative di mobilitazione: è una rivendicazione di giustizia e di equità. Vi terremo informati sulle iniziative e sui risultati.